” Oh cjampanis de sabide sere che pe fieste sunais di ligie tignût cont de plui biele armonie par sunâle a la fin de la vuere, din… don… din… dan… don… din… dan… din… dan… don…” . Chi non se la ricorda questa bellissima e dolce villotta di Luigi Garzoni? Chi non si ricorda con nostalgia e gli occhi dell’adolescenza “Il sabato del villaggio” di Giacomo Leopardi? Ora qualcosa ritorna. Le tre campane del campanile di Feletto, mute dall’estate 1935, per la notte del nuovo millennio (1999/2000), sia pure in modo precario, faranno di nuovo sentire le loro voci. Voci che per anni hanno segnato e scandito i ritmi di una quotidianità misera, di un’epoca diventata, troppo in fretta, flebile ricordo negli anziani autoctoni. Era appunto l’anno 1935 quando, per ampliare la via principale del paese, venne demolito il campanile del 17° secolo. Quella costruzione eretta in mezzo alla strada, poco si conciliava con le mutate condizioni del traffico. Il primo mezzo pubblico, sulla linea Udine-Cavazzo, incontrava notevole difficoltà a transitare, in particolar modo durante i periodi in cui circolavano i mezzi agricoli. Fu così che il parroco don Nicolò Rossi, presa la palla al balzo, ne forzò la demolizione e ne programmò la sua ricostruzione in altro sito. In pratica, però, c’era un secondo scopo: l’ambizione di costruire un’opera che diventasse simbolo di primato nei confronti degli altri paesi, ed inoltre rimanesse opera-monumento e ricordo per i posteri. Le campane, come raccontava Dino Chiarcossi, calata con carrucole, argani, lunghissime corde e l’opera di gran parte dei giovani del paese, trovarono ricovero nell’ala destra della chiesa in faccia al battistero. Si iniziò subito la raccolta dei fondi per la costruzione del nuovo campanile; nel frattempo la famiglia artigiana ( “Chei de Suche” ), addetta alla trebbiatura del frumento degli agricoltori, donò una campana di modeste dimensioni che venne collocata, assieme alla campanella del vecchio campanile, sul culmine del tetto della chiesa. Più tardi si scoprì, per opera dell’ingegnere Alberigo Bulfoni, che si fece mandare i disegni esecutivi della trebbiatrice dalla ditta costruttrice, che tramite un percorso alternativo non previsto dal progetto, parte del frumento veniva trattenuto all’interno della trebbiatrice. Il trebbiatore, nottetempo, lo recuperava per sé. Non appena la cosa fu di dominio pubblico, gli agricoltori gabbati chiamarono la campana “Mentana Villaglori”, dal nome delle due varietà di frumento più in voga all’epoca. In seguito, lo scoppio della seconda guerra mondiale costrinse ad abbandonare il progetto del nuovo campanile e quando le forze germaniche arrivarono in paese, il parroco, in fretta e furia, fece murare sul posto le tre campane. Alla fine della guerra (1945) le donne di Feletto donarono una campana che prese il posto di quella chiamata “Mentana Villaglori”. A cura di Giovanni Codutti
Le Campane di Feletto Umberto Oggi
Negli ultimi giorni del 1999, grazie al finanziamento del C.I.L. (Centro Iniziative Locali) per iniziativa del signor Flavio Comuzzo, con il consenso del parroco don Riccardo Leschiutta e l’opera dei signori Ottone e Alberto Clochiatti, esperti tecnici, quelle campane hanno ricominciato a suonare la loro più bella armonia, conservata in seno per ben sessantacinque anni. Dal 2000 una domenica di sagra è dedicata agli “Scampanotadôrs”, ogni anno, invitiamo altre associazioni a suonare le nostre campane in una gara senza vincitori che ha il solo scopo di offrire un concerto.
Festa della verza 2012